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CTH 440

Citatio: F. Fuscagni (ed.), hethiter.net/: CTH 440 (TX 24.10.2016, TRit 24.06.2011)



§ 5'
20 -- Quindi la sacerdotessa solleva un/il ḫūta-5 davanti agli dei
21 -- essi devono [es]sere(?) [ … ]
22 -- gli dei [per? Ḫa]mrišḫara6 dal passato e dal presente7 … [… ] per ciò che riguarda la condizione di madre, di padre, di serva (e) di servo annaššes8 [si]ano!
23 -- ...
24 -- Il [tr]ono la?9 liberi
25 -- [I/le … ] e le colonne la? liberino
26 -- gli angoli la [ … ]10
27 -- [ … ] la [ … ] ...11
Melchert 2001, 198: I-NA.
Starke 1985, 402: ka-ru[-i-l]i-ya-az. Tuttavia la collazione sulla foto mostra che in lacuna c'è sicuramente spazio per un altro segno.
Il termine, costruito con il suffisso derivazionale -wann(i) (cfr. Melchert 2003, 197-198) e con il suffisso del 'Possessive Adjective“ -ašša- (cfr. Melchert 2003, 188), resta di non facile interpretazione. Secondo Melchert 1993, 50 dovrebbe trattarsi di un genitivo aggettivale della forma sostantivizzata ḫamrawann(i)- „of the ḫamri-“ attestato in Vo 23 e inteso come epiteto di Išḫara. HW2 Ḫ, 131-132 traduce invece il termine come „Bewohner des ḫamri-Heiligtums“. Cfr. anche Schwemer 2001, 254 n. 1770. La marca del caso resta invece certamente in lacuna.
Starke 1985, 403: [ ␣␣␣]x-šu-it-ti-iš. Per l'integrazione proposta cfr. KUB 35.67 Ro. II 2. In questo testo in Ro II 1 compare šar-ḫu-li-⌈iš-du⌉ (dove -du è dativo del pron. encl. di terza pers. sing.) lo stesso vocabolo attestato in KBo 9.146+ Ro 30.
Forse da leggere -n]u oppure -a]š.
Vgl. Starke 1985, 403: ⌈na⌉-x[ ␣␣␣]x-e-eš ši-x-ḫu-li-eš.
Si intravedono tracce di un cuneo aperto.
5
Per il termine ḫūta- cfr. Melchert 1993, 78 con bibl. precedente. Tuttavia questo termine che deve con ogni probabilità essere interpretato come oggetto del verbo šarā ēpzi, è un oggetto concreto che si trova deposto davanti alle (statue delle) divinità e che la MUNUSŠU.GI prende sollevandolo da terra (šarā ēpzi), come interpreta correttamente CHD L-N 278b. Quindi l'interpretazione „haste, alacrity“ proposta da Meclhert, almeno in questo contesto, non sembra essere condivisibile. Piú probabilmente si tratta, quindi, di un termine omografo, ma di significato diverso. La soluzione può forse essere trovata nel frammento KBo 22.105 (CTH 487) dove il termine ḫuda- compare due volte (Ro. 3' e 9') preceduto da un segno non interamente conservato ma che, come conferma anche la collazione sulla foto, può essere letto DUG, per cui questo vocabolo potrebbe indicare un vaso. Non si sottovaluti inoltre che KBo 22.105 è probabilmente un rituale per la dea Išḫara, il cui nome riccorre in Ro. 8' e Vo. 7. Si veda inoltre KBo 44.47, 11' (CTH 470.1157): DUGḫu-u-da-a[š(-)/-a[n(-) e KBo 32.155 Ro I 4' (CTH 470.1961): DUGḫu-da-an-ni-ma-⌈kán⌉. Dunque potrebbe trattarsi anche in KUB 35.92+ Vs. 27' dello stesso termine, ovvero di un vaso, in cui si può identificare l'oggetto del verbo ēpzi.
6
L'integrazione [A-NA ḪA-]AM- … proposta in Starke 1985, 402 richiede troppo spazio nella lacuna. Il nome della divinità può comunque essere considerato come un dativo anche senza la proposizione accadica ANA.
7
Cfr. Melchert 1979, 262. Per contesti analoghi cfr. KBo 51.50, 8'-9' (CTH 458)
8
Si è interpretato annaššeš come predicato di DINGIRMEŠ di Ro. 28'; cfr. Melchert 1993, 12.
9
Il contesto generale suggerisce che il pronome enclitico si riferisca a Ḫamrišḫara. La traduzione resta comunque molto incerta.
In lacuna vi sarà quasi certamente una forma di imperativo.
La desinenza -du suggerisce che anche in questo kolon vi sia una forma verbale all'imperativo.

Editio ultima: Textus 24.10.2016; Traductionis 24.06.2011