Per il termine
ḫūta- cfr.
Melchert 1993, 78 con bibl. precedente. Tuttavia questo termine che deve con ogni probabilità essere interpretato come oggetto del verbo
šarā ēpzi, è un oggetto concreto che si trova deposto davanti alle (statue delle) divinità e che la
MUNUSŠU.GI prende sollevandolo da terra (
šarā ēpzi), come interpreta correttamente CHD L-N 278b. Quindi l'interpretazione „haste, alacrity“ proposta da Meclhert, almeno in questo contesto, non sembra essere condivisibile. Piú probabilmente si tratta, quindi, di un termine omografo, ma di significato diverso. La soluzione può forse essere trovata nel frammento KBo 22.105 (CTH 487) dove il termine
ḫuda- compare due volte (Ro. 3' e 9') preceduto da un segno non interamente conservato ma che, come conferma anche la collazione sulla foto, può essere letto
DUG, per cui questo vocabolo potrebbe indicare un vaso. Non si sottovaluti inoltre che KBo 22.105 è probabilmente un rituale per la dea Išḫara, il cui nome riccorre in Ro. 8' e Vo. 7. Si veda inoltre KBo 44.47, 11' (CTH 470.1157):
DUGḫu-u-da-a[š(-)/
-a[n(-) e KBo 32.155 Ro I 4' (CTH 470.1961):
DUGḫu-da-an-ni-ma-⌈kán⌉. Dunque potrebbe trattarsi anche in KUB 35.92+ Vs. 27' dello stesso termine, ovvero di un vaso, in cui si può identificare l'oggetto del verbo
ēpzi.